Negli ultimi decenni ci fortunatamente gradualmente spostando sempre di più verso un’agricoltura sostenibile, e non solo in ambito salutistico e ambientale, ma anche economico. In tal senso, il pirodiserbo rappresenta una valida alternativa all’uso di sostanze chimiche, una tecnica che in molti agricoltori hanno deciso di provare riscontrando degli ottimi risultati.
Che cos’è il pirodiserbo
Il pirodiserbo è una pratica agronomica che si basa sull’impiego del calore. Lo scopo è quello di provocare un vero è proprio shock termico alle malerbe, meglio note come erbacce cattive. Il GPL con cui è alimentato, bruciando, forma unicamente vapore acqueo e anidride carbonica.
Questo procedimento, che approfondiremo meglio nel prossimo paragrafo, comporta una lessatura dei tessuti delle erbe infestanti e un’espansione del plasma cellulare con la conseguente rottura della membrana esterna. Ciò vuol dire che il flusso intracellulare di alimentazione sarà interrotto e la cellula non potrà più essere nutrita. Un processo che avviene grazie alla continua evaporazione dovuta alla spaccatura della cuticola. Nell’atto pratico, si avrà un disseccamento dei tessuti e della pianta, senza alcun tipo di residuo sul terreno.
Come si applica il pirodiserbo
Qualora si decida di iniziare un trattamento con la tecnica del pirodiserbo è importante rispettare alcune norme essenziali.
In particolare, le erbe su cui si andrà a lavorare dovranno trovarsi in uno stato vegetativo giovanile, 20-25 giorni, dall’urgenza. Per assicurarsi un buon lavoro e quindi la morte delle malerbe, si consiglia un riscaldamento di 90–95° C per la durata di un secondo. Diversamente, in presenza di erbacce in stato vegetativo avanzato, è indicata un’applicazione di 101° C per la durata di un secondo. Rendersi conto dell’avvenuto trattamento sopra le erbe infestanti è molto semplice. Queste, infatti, dopo il processo cambieranno immediatamente colore, assumendo una tonalità più scura.
Il riscaldamento, determinato dal passaggio dei bruciatori, negli strati sottostanti a quello superficiale, equivale a una temperatura che in genere non supera i 50-60° C, temperatura che possiamo tranquillamente riscontrare anche nelle ore più calde dei mesi estivi. Pertanto, i danni a carico della microflora e dei microrganismi del terreno sono di gran lunga trascurabili. Inesistenti i rischi per gli operatori e pari a zero i residui tossici nell’ambiente. Possiamo riassumere, quindi, che il pirodiserbo non brucia le erbe infestanti, ma le secca e ciò è visibile dal colore giallo che esse assumono dopo il trattamento.
Quali sono i consumi del pirodiserbo
I consumi del gas sono proporzionati al tipo di attrezzatura che si andrà a usare. Quelle portatili sono di sicuro più versatili, eppure hanno dei consumi elevati rispetto ad attrezzature portate o trainate. A influire sui costi di un trattamento sarà anche l’altezza delle erbe infestanti che si vorranno eliminare. Le migliori condizioni per l’impiego della tecnica del pirodiserbo si hanno quando la fase vegetative delle malerbe è allo stato iniziale, da 1 a 10 cm di altezza. Intorno a queste misure si avrà una considerevole riuscita dell’operato e di conseguenza un risparmio in termini economici.
Storia del pirodiserbo
Questa tecnica per il controllo delle erbe infestanti per mezzo del fuoco risale al 1852. L’inventore è un americano della Columbia, un certo John Craig. Fu lui il primo a usare un apparecchio per il pirodiserbo.
Un vero e proprio sviluppo delle apparecchiature per il pirodiserbo si ebbe però solo intorno al 1940-45. Questo nuovo metodo non ebbe da subito successo, i motivi principali erano i costi legati ai consumi. Fino al 1943, infatti, i bruciatori avevano in comune solo due tipi di combustibile, benzina o petrolio. La situazione cambiò solo quando furono disponibili grandi quantità di gas e i costi si abbassarono notevolmente.
A partire dal 1947 si cominciarono a progettare e a realizzare macchine da lavoro che usavano gas butano. Questi apparecchi erano muniti di bruciatori, capaci di produrre una fiamma di forma e dimensione ben salda. Innovazioni che riscontrarono da subito il consenso di molta gente; basta pensare che già nel 1965 solo negli Stati Uniti d’America erano in circolazione più di 15.000 apparecchiature. Ottimi riscontri si ebbero anche in Europa, Olanda e Inghilterra che negli stessi anni avevano grossomodo le stesse percentuali.
Negli anni, una continua collaborazione tra produttori e centri di studi e università ha portato ulteriori sviluppi di questa tecnologia. A oggi sono disponibili maggiori conoscenze sul controllo delle erbe infestanti e sulla lotta fitopatologica nel totale rispetto dell’ambiente e di tutte le specie animali del pianeta terra.