Sono molti i Paesi impegnati in un vasto commercio internazionale illegale di cavallucci marini, in grado di aggirare le normative globali.
Ad affermarlo è un nuovo UBC, ricordando che tale prassi ha implicazioni per molte altre specie animali. La Convenzione delle Nazioni Unite sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche in via di estinzione (CITES) limita le esportazioni di cavallucci marini a quelli che sono stati acquistati in modo sostenibile e legale. I cavallucci marini sono stati i primi pesci marini soggetti a tale regolamentazione, in gran parte grazie al lavoro del team del Progetto Seahorse dell’UBC Institute for the Oceans and Fisheries.
Ebbene, l’obiettivo di questo regolamento era l’introduzione di un uso sostenibile di tali animali, ma purtroppo molti Paesi hanno scelto di aggirare i divieti imposti dalla CITES. Circa il 98% dei cavallucci marini precedentemente presenti nel commercio globale proveniva da Paesi che ora hanno imposto divieti, e dunque teoricamente le esportazioni e le importazioni dovrebbero essere più o meno terminate.
Tuttavia, la nuova ricerca dell’UBC indica che molte nazioni che applicano divieti hanno continuato ad esportare cavallucci marini, non rispettando quindi né gli obblighi previsti dalla CITES né i divieti commerciali.
“Abbiamo scoperto che il 95% dei cavallucci marini nel grande mercato di Hong Kong sono stati segnalati come importati da paesi di origine che hanno divieti di esportazione, tra cui Thailandia, Filippine, Indonesia, India, Malesia e Vietnam“, ha osservato il Dr. Ting-Chun Kuo, coautore e, durante lo studio, candidato al dottorato di ricerca in Project Seahorse.
“Si tratta di una scoperta notevole data l’alta percentuale del commercio mondiale di cavallucci marini che passa attraverso Hong Kong“, ha commentato la dottoressa Sarah Foster, autrice principale e ricercatrice associata al Progetto Seahorse. “A queste spedizioni illegali mancavano i registri e i permessi CITES richiesti. Ciò significa che molte popolazioni di cavallucci marini continuano ad essere sottoposte a forti pressioni senza il controllo CITES sulle fonti e la sostenibilità del commercio”.
Viene infine rammentato come l’attuale elevato livello di attività illegale possa avere conseguenze significative per la conservazione delle popolazioni selvatiche.