Nelle scorse settimane, come peraltro già avvenuto più volte negli ultimi anni, è ricominciata la condivisione di alcuni allarmi relativi alla qualità di acque minerali italiane in bottiglia, con specifico riferimento alla presenza di contaminazioni di arsenico.
La notizia (falsa o, meglio, vecchia) è stata rilanciata da diversi siti internet ma non, fortunatamente, dai principali media, che hanno fiutato che non si trattava di una concreta avvertenza.
Sulle pagine web che hanno diffuso questa indiscrezione non corrispondente alla verità si legge che sarebbe stato trovato dell’arsenico nelle acque minerali, e che l’arsenico è un elemento molto pericoloso per la salute dell’uomo, poiché potenzialmente cancerogeno, classificata dall’agenzia internazionale di ricerca sul cancro come elemento cancerogeno di classe 1.
Molti dei siti web che hanno ripercorso la notizia accompagnavano poi il tutto con una tabella che mostrava i livelli di arsenico in alcuni dei più noti marchi commerciali italiani, che distribuiscono acqua imbottigliata.
Peccato solo che la notizia non fosse affatto vera, bensì riprendesse – per giunta, modificandole – le conclusioni di alcune precedenti informative del 2010 e del 2011.
Le indagini del 2010 – 2011
Sette anni fa partì dal Lazio un’indagine epidemiologica per verificare se esistesse un collegamento tra la contaminazione degli acquedotti e alcune patologie tumorali. La decisione all’epoca arrivò 60 giorni dopo che la Commissione europea aveva vietato all’Italia di continuare ad erogare acqua destinata ad uso potabile con concentrazioni di arsenico superiori a 10 microgrammi per litro.
Se, però, da un lato la Regione Lazio volle così controllare se le prescrizioni della Commissione europea trovassero riscontro nei fatti, dall’altro si guardò bene dal seguirle, portando il valore massimo consentito da 10 a 20 microgrammi per litro.
La Regione, senza attendere una nuova deroga dall’Europa, diede dunque indicazione ai sindaci del comprensorio di continuare ad erogare acqua con concentrazioni di arsenico superiori al valore stabilito dall’istituzione comunitaria, fino alla soglia di venti microgrammi per litro. Le autobotti della protezione civile sono arrivate solo in alcuni Comuni, e la tutela dei bambini di età inferiore ai tre anni, che secondo l’Organizzazione mondiale della sanità non potrebbero neanche avvicinarsi ai rubinetti, venne sostanzialmente affidata alla responsabilità dei genitori, che per lo più non sono stati ancora avvisati.
Quello dell’acqua contaminata dall’arsenico è un problema a carattere nazionale, ma proprio il Lazio risultò essere la Regione con il numero maggiore di comuni coinvolti. Per questo, istituì un’unità di crisi, coordinata dall’allora assessore all’ambiente Marco Mattei. La prima decisione presa dal neonato organo fu proprio quella relativa alla ricerca epidemiologica. A coordinare l’inchiesta regionale fu il dipartimento regionale di Epidemiologia dell’Asl Rm E con la collaborazione dei Servizi di prevenzione delle aziende sanitarie delle province di Roma, Viterbo e Latina.
Molti dei siti che hanno diffuso false notizie sullo stato di salute delle acque italiane fanno poi riferimento ad una notizia ancora precedente, relativa a un’indagine del 2010 pubblicata sulla rivista Le Scienze, e realizzata all’interno del progetto Atlante Europea, sotto la guida di EuroGeoSurveys Geochemistry Expert Group.
Peraltro, l’esito delle indagini sulle acque italiane, relativa a sette anni fa, si concluse dichiarando che tutti i marchi commerciali italiani fossero in linea con i limiti di legge, e che in nessun caso ci fosse necessità di intervenire con azioni correttive.